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Archive for the ‘Alessandra Solito’ Category

28 gennaio 2011

SCIOPERO GENERALE


CON LA FIOM,

DALLA PARTE DEL LAVORO

 

 

Ieri Pomigliano, oggi Mirafiori. Dopo il 16 ottobre, il 28 gennaio. Un’altra giornata per dire, con la Fiom, che si sta dalla parte del lavoro, in difesa dei diritti. Un lavoro senza diritti non è lavoro: è schiavitù. Ed è per questo che il lavoro non è un valore, è conflitto, conflitto “capitale-lavoro”.

In questa lotta bisogna prendere parte, schierarsi. O si sta dalla parte del capitale, con la Fiat, o si sta dalla parte del lavoro, con la Fiom. Noi stiamo con la Fiom, dalla parte del lavoro. A sinistra, dunque.

Ieri Pomigliano, oggi Mirafiori. Domani Melfi e Cassino. Ieri il 16 ottobre, oggi il 28 gennaio. Domani, ancora, conflitto.


nonostante.rivista

 

 


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di Alessandra Solito

 


«La prima immagine è quella di un cane che guarda.
Il cane sono io.
Sto guardando mio padre che è una pietra che piange.
Il primo suono è in dialetto. È ripetuto da mio padre in continuazione […].
Il primo suono è s’asciucò».

Nella prima pagina c’è già tutto: il cane, il padre, il dialetto. I suoni agrodolci del palermitano. Le sirene strazianti, l’ossessione, il “mondo in frantumi”.
Il 1992, a Palermo.
Davide Enia ha una scrittura pulita, nitida, precisa. Dire evocativa è dire poco. Una scrittura capace di veicolare mondi, di racchiudere realtà in un accostamento, in una scelta linguistica, in una sillaba. Come chi fa teatro sa fare. Scomponendo il suono, costruendo mondi e suggestioni con la forza di un verso, un’intonazione, un ritmo.
Le scene si sovrappongono, e da piccoli scorci, da poche parole, ricostruiamo una vita, un ambiente, i pensieri di un adolescente. Il rapporto con un padre impenetrabile, con una madre apprensiva e dolente. Ma anche lo sconquasso dell’amore, il sangue delle stragi di mafia, il tutto visto da occhi comuni, quotidiani, di un ragazzo o di un bambino, che stenta a rendersi conto, lontanissimo dal cordoglio istituzionale o dagli avvincenti reportage dei media.
La narrazione procede per immagini, molte delle quali ricorrono più volte, come metafore martellanti, a sostenere la trama e a battere il ritmo. Poi, proprio come sul palcoscenico di un teatro, le cose diventano vive, animate, correlativi oggettivi delle emozioni e della storia: la pietra pomice, quasi unico anello di congiunzione con il padre, le mani di giglio di Sandra Spajic, l’urlo assordante delle sirene, le figurine di Corrado Risso. E il cane Nerone: lui che, più umano degli umani,
«osserva sereno la vita pulsare» con composta saggezza, e sembra, a tratti, evocare la capra di Umberto Saba, che «Sazia d’erba, bagnata /dalla pioggia, belava. / Quell’uguale belato era fraterno / al mio dolore».
Enia racconta il suo 1992, visto dal soggiorno di una casa a Palermo, e lo fa senza scivolare nel tragico o nel banale. Con semplicità racconta una storia, una storia familiare, che riporta all’infanzia e ai suoni di Sicilia, in cui la lingua si fa densa, lingua dell’anima e del ricordo, pastiche italo-siculo di grande espressività. Lingua del mito, del canto popolare, del cunto, che va alla ricerca della radice delle cose, che non si priva del ricorso all’etimologia, riprendendo senza vergogne le sbavature dell’oralità e la carica espressiva del dialetto. Un linguaggio che trae spunto dalle sue stesse contraddizioni, emozioni, contrasti. Come Davide Enia stesso dichiara:

«Possiede, il palermitano, l’esperienza della contraddizione: con la sua sonorità ora tagliente ora suadente, ‘u dialetto sa essere graffio e sussurro. Impenna in picchi di velocità sostenuta, accelera le sue pulsazioni e crea una partitura ritmica. Poi però rallenta, e dilata i fonemi, e diventa sinfonia di un sentire».
Una storia che racconta il faticoso rapporto con la Città, visceralmente amata e odiosa al tempo stesso, la città in cui “tutto cambia affinché nulla cambi”, per dirla con Tomasi di Lampedusa, luogo che diventa specchio di sé e ossessione:
«Non so se possa esistere una concreta identificazione tra città e cittadino. È possibile una reale sovrapposizione? Si può affermare “Io sono Palermo”? […]
Da ragazzino ero convinto di essere legato a doppio filo alla mia città. Storia di viscere e di senso d’appartenenza. Io ero triste? Ed ecco Palermo coprirsi di nuvole ostili. Io ero raggiante? E Palermo riluceva di sole e odorava di mare. Ma forse ero addolorato proprio perché Palermo era grigia o ero illuminato perché la città mi nutriva di luce. Non lo so. […]
Come davvero non so se in quei giorni di sangue ogni palermitano fosse Palermo e viceversa
».
Un racconto per chi ama farsi cullare e stupire dalla letteratura e dall’alchimia della lingua, in un’edizione :duepunti raffinata e rispettosa dell’ambiente (carta riciclata e certificata FSC, copertina realizzata a mano da materiali di riciclo).


Davide Enia, Mio padre non ha mai avuto un cane, :duepunti, 2010.



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Con ingranaggi, lancette, dentature,
l’orologio sembra un carro falcato
che fa scempio del giorno, ne dilania
la salma, lede i legami e le giunture,
trincia le ore, le disossa, come
la rotazione della notte strappa
la chiarità del cielo e mette a nudo
numeri, membrature, figure,
lo scheletro brillante
e nebuloso delle costellazioni.
Così, radiografato, il corpo
si ritira, nella bassa marea,
scopre i fondali, le terre
sottostanti, le montagne,
i fossili dormienti
sotto la carnagione della luce.

 

Valerio Magrelli, Poesie (1980 – 1992) Einaudi.

 

composizione di Alessandra Solito

 

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