di Stefania Ragaù
p
p
Nonostante. Cosa significa per noi nonostante? In un’epoca come la nostra, in un mondo privo di senso, nel momento in cui tutti i nostri «pallidi simulacri del vero» sono caduti, venuti meno, cosa significa aggiungere un nonostante al nostro discorso? Qual è il suo valore? Dove il suo significato?
La ginestra di Leopardi ci può dire molto su questo nonostante. Essa infatti nel pensiero del poeta ha lo stesso valore che ha per noi il «nonostante». Dinanzi ai «campi cosparsi di ceneri infeconde» del Vesuvio, dinanzi a una terra desolata, ricoperta dall’«impietrata lava», proprio lì dove «la ruina tutto involve», lì Leopardi trova la sua odorosa ginestra, un fiore “contento dei deserti”. Un fiore gentile che allieta l’arido vero col suo profumo. Che consola il deserto. Questa è la testimonianza lirica che Leopardi ci lascia. Un’estrema riflessione del poeta che, raggiunto il fondo del suo pessimismo, lungi dal voltare le spalle e chiudere gli occhi di fronte alla misera condizione umana, trova la forza di alzare lo sguardo e mirare la desolante verità.
Troppo facile per Leopardi voltarsi e fuggire inseguendo le tenebre, come appunto indica l’iniziale citazione evangelica: e gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce (Giov. 3,19). No. All’arido vero non si sfugge, al pari dell’islandese delle Operette morali nei confronti della Natura. Consapevole di ciò, Leopardi non prefigura alcuna speranza. Nessuna salvezza a venire. Proprio in quanto consapevole di ciò, Leopardi ci lascia solo un fiore. Una ginestra, il suo nonostante.
Cos’è il nonostante dunque se non l’ostinazione di una vita che nasce, cresce e vive su quell’arida schiena del vulcano? Un’ostinazione a vivere nonostante tutto ciò che la circonda rifletta la negazione della vita in quanto tale. Il deserto appunto. Il deserto e il fiore, ovvero il pessimismo senza speranza e l’ostinazione a lottare per sopravvivere. Il nonostante ha in sé tutta la forza vitale che possiede questo fiore gentile. È anch’esso un’ostinazione, non un tentativo di negare il pessimismo, voltandogli le spalle e preferendo sogni vani e fugaci illusioni, bensì una costante tensione a organizzare il pessimismo, proprio secondo quanto diceva Benjamin.
Si tratta dunque di convivere con il deserto. Con la natura dal volto bello e orribile, con il nostro presente. Partire da qui per poter riannodare i fili di un’esistenza precaria e incerta, senza lasciarsi sedurre dai pallidi simulacri del vero che ormai la società, la storia e il tempo hanno fatto cadere. Se, come scriveva Camillo Sbarbaro «il mondo è un gran deserto», ebbene questo va vissuto, attraversato, esperito proprio come fa Leopardi con la sua ginestra. Il “nonostante” diviene quindi un espediente, un mezzo per sopravvivere ai nostri deserti contemporanei. Forza e salvezza di fronte a un facile nichilismo. La forza di riuscire a guardare il presente, per quanto arido, con un sorriso. Quello stesso che Leopardi ci tramanda come ultima testimonianza di un pensiero radicale.
Lascia un commento